Consuelo Lopez
Il vecchio laboratorio di mio padre si trovava alle spalle della nostra casa, in una stradina semichiusa e poco illuminata. L’occasione per andarlo a trovare di pomeriggio era quella di aver finito presto i compiti e fare passeggiate un po’ il nostro Sasha. Così una mano al guinzaglio del cane e l’altro in quella di mia madre, quei pomeriggi assumevano sempre ai miei occhi di bambina a un significato favolistico quasi arcano.
Oltre la porta di vetro, quel luogo diveniva il laboratorio alchemico di un mago, invaso da colori e suoni. Tutto era grande per me, tutto quasi incomprensibile, molti degli agenti accatastati splendidamente inutili, di cui solo gli artisti e i bambini sanno il valore: la vecchia radio di nonno Nicola, le lampade il tavolo da disegno; tesori sacri quali matite, gomme, pennelli e tubetti colorati intoccabili -guai!- conchiglie, libri… Lasciare quel luogo non è stato facile per lui, ne sono sicura.
I miei ricordi sbiadiscono, riprendono in vigore delle vicende contemporanee, il laboratorio nuovo il forno per ceramica a Conversavano, le mostre, lo studio delle forme, gli esperimenti saggiamente casuali con l’argilla. La pittura lo riappassiona con fervore come un amante e le terre gialle e viola, i cieli rossi trasmutano la loro forza nella manipolazione dell’argilla.
Da un verso all’alto Ignazio Lopez gioca con i nostri perché razionali, si diverte a confondere la storia, mischia natura e fantasia, poesia e decorazione e tutto concorre affinché il risultato non possa essere scontato né immaginato.